Testo di Giacomo Soffiantino
Tra gli incisori affermati Elisabetta Viarengo Miniotti è certamente di quelli arrivati nel territorio della Grafica per un razionale rigore e per una vocazione autentica e profonda. Nelle sue ultime ricerche lascia l’organizzazione narrativa. Parte da un attento riconoscimento di elementi naturali (l’albero, la corteccia, l’intrico dei rami ecc.) e giunge a focalizzare, con una fitta scrittura delle espansioni naturali. Arriva all’isolamento del nucleo, al ravvicinamento del punto osservato, ad improvvise pause e tensioni, sempre con vigile controllo mentale. Una trasformazione del reale mai disgiunto dalla qualità del segno. Infatti chi guarda le sue grafiche rimane affascinato dalla raffinatezza del suo linguaggio, dalla dosatura dei bianchi e dei neri, dalle luminose bruniture, ma deve anche saperle superare per continuare la sua ricognizione nel mistero dell’opera stessa,
E come tutti i misteri, che non hanno fine, l’osservatore continuerà a vivere tutte le volte che penserà alla qualità incisoria della Viarengo. Spazi contigui, indefinibili perché spazi della mente, del sentimento, della memoria, della malinconia della memoria, dell’atmosfericità, della luce. Le incisioni della Viarengo si dispongono come le pagine di un diario aperto, ricche dei suoi palpiti. La materia diventa espressione, quasi una ribellione alla descrizione costittiva. Mette insieme lo spirito razionale con la propria coscienza di vivere, la meraviglia di esistere. La mente con la sua logica si accompagna con l’identificazione dell’artista con la sua opera, perché scarica le emozioni che insorgono in un flusso di segni: il flusso della sua vita. Il segno diventa autonomo e assume il valore di immagine. Così si esprime non solo l’artista ma anche lo strumento. L’incisione la più umile tra le discipline artistiche, dato che non possiede la gestualità del pittore, ne la violenza dello scultore, diventa per Elisabetta Viarengo Miniotti un tutt’uno con se stessa, un moto soggettivo della sua anima.