I segni della memoria
Elisabetta Viarengo. Miniotti
Segno Grafico
San Fantin 1854a – Venezia
Testo di Enzo di Martino
Una costellazione di dati interiori, di frammenti si potrebbe dire, assume una posizione di centralità nel mondo immaginativo di Elisabetta Viarengo Miniotti. Si tratta per lo più di oggetti dello studio o, a volte, di visioni parziali di un ricordo. Le sue incisioni, per tale ragione, sembrano il luogo di approdo definitivo di una pratica riflessiva rituale e solitaria. L’apparizione delle immagini è perciò affidata ad una processualità lenta e meditata, segno dopo segno, in una conquista della superficie della lastra
fatta di avanzamenti faticosi e sicuri al tempo stesso. Ecco perchè i suoi fogli diventano lo spazio in cui l’immagine diviene un’apparenza irreversibile, fissata inesorabilmente, consegnata per sempre alla contemplazione dei riguardanti. Curiosamente non sono i segni utilizzati per descrivere un oggetto o una figura ad essere protagonisti di tale apparizione, ma piuttosto quelli di contorno impiegati cioè per ricostruire un clima, una particolare atmosfera. Il tessuto incisorio di Viarengo Miniotti non è il risultato di una azione determinata e spettacolare ma scaturisce da uno stato di grazia e da una perizia interiore che non dipende sono dall’abilità fattuale e dalla conoscenza dei processi alchemici. La struttura portante delle sue immagini non è infatti determinata dalle “descrizioni” ma dalla contrapposizione misurata della trasparenza dei bianchi e della vivezza squillante dei neri. Viarengo Miniotti tramuta cosi i segni della memoria in segni visibili e si avverte continuamente una ulteriore possibilità immanente, un ulteriore aprirsi del racconto e della memoria, una pulsazione continua che annuncia il prossimo foglio. Sicchè gli spazi ed i tempi di queste incisioni vanno colti in una dimensione al tempo stesso fissata e dinamica. Talune “cancellazioni” effettuate con il brunitoio assumono in questo ambito la funzione di rallentare e di schiacciare l’apparizione delle forme, quasi a voler dar tempo a ripensamenti e riflessioni necessarie al processo di riappropriazione delle immagini nel momento in cui esse si manifestano. E forse qui sta la ragione per la quale in questi fogli pare di respirare un sentimento di sprofondamento nella memoria nella quale i segni sembrano silenziosi mentre i silenzi diventano parole
Testo di Vittorio Bottino
Dopo gli inviti, ambedue prestigiosi, alla IV Biennale delia Grafica Italiana di vittadella (Padova) ed alla rassegna organizzata dall’Associazione Internazionale Incisori a San Paolo del Brasile, Elisabetta Viarego Miniotti espone dal 28 luglio al 7 agosto nella galleria Segno Grafico di Venezia. Negli ultimi anni la Viarengo Miniotti si è raffinata nella tecnica dell’acquaforte sino a raggiungere risultati di tutto rispetto. In possesso di una profonda cultura artistica, la pittrice torinese ha trovato nel bianco e nero una somma di valori che modifica con personali interventi sino a pervenire su alti valori tecnici ed espressivi. Con le figure si esaltano nature morte, dove gli oggetti diventano personaggi attraverso un racconto intimistico rilevato dal chiaroscuro; le invenzioni si sommano alle intuizioni, ‘impaginazione spesso ardita – diventa una raccolta narrazione sulla quale le si intrecciano i fili della memoria. Enzo di Martino nel presentarla in catalogo, scrive: “ Una costellazione di da ti interiori, di frammenti si potrebbe dire, assume una posizione di centralità nel mondo immaginativo di Elisabetta Viarengo Miniotti. Si tratta per lo più di oggetti dello studio e, a volte, di visioni parziali di un ricordo. Le sue incisioni per tale ragione sembrano il luogo di approdo definitivo di una pratica riflessiva rituale e solitaria. L’apparizione delle immagini è perciò affidata ad una processualità lenta meditata, segno dopo segno, in una conquista della superficie della lastra fatta di avanzamenti faticosi e sicuri al tempo Ecco, perchè i suoi fogli diventano lo spazio in cu l’immagine diviene un’apparenza irreversibile, fissata inesorabilmente consgnata per sempre alla contemplazione dei riguardanti. Curiosamente non sono i segni utilizzati per descrivere un oggetto o una figura ad essere protagonisti di tale apparizione, ma piuttosto quelli di contorno impiegati cioè per rIcostruire un clima, una particolare atmosfera.”